Dal Nepal, a Tarcento. Dopo aver concluso la stagione come cuoco con la moglie in una baita in Austria, Dawa Sherpa, in segno di amicizia, è venuto presso il Judo Kuroki a raccontare la storia del Judo Club Everest.

La serata si è aperta con i saluti del Comitato Regionale FIJLKAM portati dal Presidente Sandro Scano.

Successivamente, Gino Gianmarco Stefanel ha introdotto l’ospite al nutrito gruppo di genitori, atleti e curiosi, spiegando che cos’è il Judo Club Everest e quale è stato il primo punto di contatto con una realtà così lontana. È stato quindi brevemente descritto il progetto “Un sogno sulla carta e… ai piedi dell’Everest” che ha portato alla pubblicazione del romanzo “Dentro fino alle ossa”, edito La Nuova Base (presente alla serata con l’editore Vittorio Zanon), e ad una raccolta fondi per la scuola di judo nepalese.

È stato poi dato spazio all’ospite. Si riporta di seguito una trascrizione parziale dell’intervista.

Prima di tutto un chiarimento in merito al tuo nome: Dawa Geljen Sherpa. Cosa significa “Sherpa”?

Molti credono che gli Sherpa siano dei portantini, ma in realtà siamo una popolazione originaria della parte Nord Est del Nepal, anche se oggi molti di noi vivono in giro per il mondo.

Gli Sherpa sentono molto il legame con la montagna e hanno il cuore grande, per questo siamo più resistenti delle altre popolazioni alle altitudini elevate.

Come ti sei avvicinato al mondo del judo?

Qualche anno fa, attorno al 2013, il mio amico Kazi Sherpa ha aperto una piccola palestra di judo nel villaggio di Monjo e mi ha chiesto di dargli una mano, in particolare per quanto riguarda la comunicazione. Allora non sapevo nulla di judo, non era per niente conosciuto da noi. In grandi città come Kathmandu già si praticava, ma nei nostri villaggi non c’erano dojo, noi siamo stati i primi.

Se avessi più, mi piacerebbe imparare a fare judo. Non l’ho mai praticato, ma ho approfondito la filosofia che c’è dietro e mi è piaciuta molto. Il judo non è solo un gioco, è parte della vita. Insegna valori e crea legami molto importanti. In questo senso mi sento un judoka.

Dopo il 2013 cosa è successo?

Nel 2019 abbiamo registrato formalmente il Judo Club Everest e siamo riusciti a sviluppare la nostra attività grazie ai tatami e i judogi che abbiamo ricevuto dal Canada e, dopo il passaggio di Sabrina Filzmoser, dall’Austria [ndr tra gli aiuti pervenuti tramite Sabrina sono compresi quelli del progetto “Un sogno sulla carta… e ai piedi dell’Everest”].

Abbiamo potuto quindi aprire il dojo del villaggio di Khumjung, che ad oggi risulta essere il punto più alto in cui si pratica judo in tutto il mondo.

Il judo è stato poi incluso nei programmi scolastici del territorio e ad oggi abbiamo circa 200 bambini e tre dojo.

Quali sono le principali difficoltà?

Attualmente non abbiamo insegnanti professionisti. Ad insegnare sono i ragazzi con maggiore esperienza [ndr i sempai, in linguaggio giapponese]. Per noi questo è un problema perché senza buoni tecnici aumentiamo il rischio degli infortuni che, date le distanze, per noi significano costi molto alti. Per portare un ragazzo in ospedale siamo costretti ad utilizzare aerei ed elicotteri. Inoltre gli infortuni disincentivano le famiglie a fare venire i bambini a fare judo.

Abbiamo avuto un’insegnante giapponese per tre mesi e per brevi periodi insegnanti austriaci. Possiamo dare vitto e alloggio, ma non pagare il viaggio perché i costi sono troppo alti.

Un altro problema sono gli spazi. Le palestre delle strutture scolastiche sono molto piccole, per questo spesso abbiniamo il judo ad attività esterne, come l’arrampicata, che comunque è utile per aumentare la forza delle prese.

Quali sono stati i momenti più felici?

Siamo riusciti a far partecipare dei nostri atleti a gare locali. Alcuni di loro sono anche riusciti a vincere e questa è stata una grandissima gioia.

Cambiando argomento, parlaci della tua esperienza in vetta all’Everest.

Ho deciso di tornare in montagna dopo un’assenza di 23 anni. L’ho fatto senza dire niente a mia moglie e mia madre, perché loro sarebbero state contrarie vista la pericolosità. Per i genitori rimaniamo sempre bambini.

Tra avvicinamento, acclimatamento e salita sono stato via circa un mese. Non è stato facile. Ciò che ho imparato dal judo mi ha aiutato molto a resistere alla stanchezza e lo sconforto per rimanere focalizzato in quello che stavo facendo.

Com’è stato trovarsi nel posto più alto del mondo?

È stato il giorno più bello della mia vita. Come dicevo, per noi Sherpa la montagna ha un significato particolare. Al campo quattro [ndr a 8000 m di altitudine] ho indossato il judogi. Avrei voluto farlo anche in vetta, perché volevo essere di ispirazione anche per i nostri giovani judoka, ma il solo gesto di togliermi le bombole d’ossigeno e provare a infilare la giacca ha richiesto un quarto d’ora, così ho dovuto desistere.

Hai passato due notti al campo quattro, come mai?

Avevamo un incarico da parte dell’IPCC [ndr Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU che, assieme ad Al Gore, ha ricevuto il Nobel per la pace per la diffusione della conoscenza sui cambiamenti climatici], dovevamo verificare se era possibile raccogliere le immondizie presenti tramite droni. Perciò abbiamo fatto molte foto e video. Il campo quattro è il posto da cui è più difficile portare indietro le immondizie, poiché è il luogo di sosta più elevato e dunque per anni le spedizioni hanno abbandonato i rifiuti. L’attività è andata a buon fine e il prossimo anno procederanno con la rimozione dei rifiuti.

L’Everest si trova in Nepal, ma è un patrimonio di tutta l’umanità e dobbiamo preservarlo per le future generazioni.

Al termine dell’intervista Dawa ha consegnato la bandiera del Judo Kuroki che ha portato con sé in vetta, datata 22 maggio 2024 ore 6:00. Poi, trattenendo a stento le lacrime, ha tenuto a concludere con un ringraziamento: “Per me questa serata è stata molto importante. Mi rivolgo soprattutto ai più piccoli: so che siete stanchi, ho visto quanto duramente vi siete allenati, eppure siete rimasti ad ascoltarmi con grande attenzione, questo non è per nulla scontato. Grazie.”